Referendum 8-9 giugno a Roma: affluenza del 27,59% alle 23 di domenica. Voto a due velocitĂ tra centro e periferie. Tutti i dati municipio per municipio
La Capitale si è svegliata con un’aria referendaria piuttosto… “sospesa”. Le urne, aperte per l’8 e il 9 giugno, hanno mostrato alle 23 di domenica un’affluenza del 27,59% degli aventi diritto.
Un dato che, seppur superiore alla media nazionale (22,7%) e a quella regionale del Lazio (23,71%), suggerisce un’atmosfera lontana dalla “febbre” democratica del passato. L’impressione generale è quella di un “Deserto dei Tartari”, dove l’attesa è lunga e i votanti rari, come testimoniato da scrutatori quasi increduli per un “contatto umano”.
Il voto si è concentrato su cinque quesiti referendari. I primi quattro, distinti per schede verde, arancione, grigia e rossa, mirano all’abrogazione di alcune parti del Jobs Act, la riforma del lavoro. Il quinto, su scheda gialla, propone una riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana, passando da 10 a 5 anni di residenza regolare nel paese.
Alle 19 di domenica, su 2.063.913 aventi diritto, l’affluenza media per quesito si attestava intorno al 19,90-19,91%. Numeri che facevano già presagire un’affluenza complessiva non travolgente, nonostante l’apertura delle urne sia proseguita fino alle 15 di lunedì 9 giugno.
Analizzando i dati a livello municipale, emerge una geografia del voto che riflette le differenze socio-economiche della città , con una netta distinzione tra centro e periferia. Il Municipio VIII si conferma il più virtuoso, con un’affluenza che ha superato il 25% già alle 19. Qui, come in altre zone centrali e più “riflessive”, il voto sembra essere un atto più sentito e partecipato.
Dall’altra parte della bilancia, troviamo il Municipio VI, che ha registrato l’affluenza più bassa, poco sopra il 14%. Le periferie est, come Tor Sapienza, Torre Angela o Settecamini, sembrano aver risentito maggiormente di questa apatia referendaria.
La battuta di uno scrutatore in una scuola di Prima Porta riportata dal Messaggero – “Quelli che arrivano sono motivatissimi: se viene chiesto loro dagli addetti ai seggi «lei prende tutte le schede o solo alcune?», quelli si offendono e accarezzano le schede come se fossero dei biglietti d’amore o di sfratto: «No al governo Meloni!»” – racconta di un voto motivato più dalla politica che dai quesiti in sé.
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