La Barcaccia tinta di nero, ma i tre attivisti sono assolti per “tenuità del fatto”. Un verdetto che scatena le polemiche, dopo 4.000 euro di pulizie
Un’azione che ha indignato l’Italia intera, un blitz che ha tinto di nero uno dei capolavori del Bernini, la Barcaccia, in Piazza di Spagna. Tre ambientalisti di Ultima Generazione, armati di carbone vegetale e di un’idea folle, hanno “sfregiato” il monumento, provocando un danno temporaneo e costringendo il Comune di Roma a sborsare quattromila euro per le pulizie.

Eppure, in un verdetto che farà discutere, il tribunale di Roma li ha assolti, dichiarando la “tenuità del fatto”. Stefano Pompili (55enne romano), Chloè Bertini (27enne romana) e Bruno Cappelli (31enne della provincia di Bari) sono stati ritenuti “non punibili”. Una decisione che suona come uno schiaffo, soprattutto dopo che il pubblico ministero aveva chiesto quattro mesi di condanna, sottolineando il “danno economico per tutti noi, anche a rischio di danneggiamento“.
I fatti risalgono alla tarda mattinata del primo aprile 2023. Una Piazza di Spagna gremita di turisti increduli ha assistito al “sacrilegio”. I tre attivisti sono entrati nella fontana della Barcaccia, capolavoro del 1629 di Pietro e Gian Lorenzo Bernini, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. Pochi minuti, un cameraman al seguito: mentre uno srotolava uno striscione (“Non paghiamo il fossile”), gli altri due versavano nell’acqua un liquido nero, a base di carbone vegetale.
A interrompere l’azione, i vigili urbani, che si sono gettati nell’acqua ormai tinta per far uscire i tre, poi portati dai carabinieri e denunciati. Tempestivo l’intervento dei tecnici della Sovrintendenza, Acea e Ama: interrotta l’erogazione dell’acqua per evitare danni al travertino poroso, la fontana è stata svuotata, ripulita e riaperta intorno alle 19.
Il processo e la decisione a sorpresa del giudice
Un blitz che ha suscitato un’ondata di sdegno, con il sindaco Roberto Gualtieri che ha tuonato: “Colpire i monumenti è in contraddizione con chi dice di voler difendere l’ambiente“. L’allora assessore alla Cultura, Miguel Gotor, lo aveva definito un atto da “ecoidioti”. Dura anche la reazione di commercianti e residenti: “Hanno agito da vandali, le opere d’arte vanno tutelate“. Poi, il rinvio a giudizio per i tre.

Ieri mattina, in aula, un’imputata ha tentato di giustificare l’azione, spiegando che l’intento era “portare l’attenzione sugli effetti della crisi climatica, in particolare la siccità“. La donna, 27enne, ha aggiunto che la sostanza era “carbone vegetale diluito in acqua“, e che “conoscevamo le conseguenze, ci siamo assicurati che non ci fossero danni all’opera“.
Un consulente della difesa ha rafforzato questa tesi, sostenendo che la soluzione era in una “concentrazione molto bassa“, inferiore “a quella normalmente utilizzata anche negli alimenti“, e che “sarebbe stata facilmente lavabile” senza danni permanenti.
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Ma il pubblico ministero, nella sua requisitoria, ha ribadito il concetto di “danno economico per tutti noi” e il “rischio di danneggiamento” per il monumento, chiedendo la condanna. Una richiesta non accolta dal giudice che, sorprendentemente, ha assolto i tre ambientalisti, difesi dall’avvocato penalista Arturo Salerni, per la “lieve entità” del fatto. Un verdetto che, al di là delle motivazioni tecniche, lascia l’amaro in bocca e apre un interrogativo: quanto deve essere grave uno “sfregio” per essere punito?